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Writer's picturePaolo Grandi

Rubrica Awalkin.Art: la nuova Pop Art

L'esordio dell’artista britannico Damien Hirst (classe 1964) avvenne quando era ancora studente al Goldsmith College di Londra, dove curò la fortunatissima mostra "Freeze", che lanciò molti giovani artisti inglesi di successo, tra i quali Mat Collishaw, Gary Hume, Fiona Rae e se stesso.


Il suo lavoro ruota intorno all'idea della vita e della morte, raffigurando la situazione di esseri viventi davanti ad esse (vita e morte) senza una minima partecipazione emotiva, registrandone solo la condizione. Tema, questo che gli viene anche da ''esperienza fatta alla "morgue" di Londra, di cui resta una testimonianza nella fotografia, realizzata con l'autoscatto, che ritrae l'artista sorridente e sereno che abbraccia la testa straccata di un uomo.


Una delle prime opere in cui l'artista affronta questo tema, con straordinaria e terrificante efficacia è “A Thousand Years” del 1990, in cui l'artista riproduce sotto teca il processo completo della vita e della morte delle larve di mosche che prima crescono e diventano mosche adulte e infine muoiono fulminate dalla lampada antizanzare.

A ciò ha fatto seguito la famosissima opera “The Physical Impossibility Of Death In the Mind Of Someone Living” (ovvero, L'impossibilità Fisica Della Morte Nella Mente Di Un Essere Vivente) del 1991, la quale presenta uno squalo tigre vero, lungo 4 metri, immerso in formaldeide all'interno di una grande teca. Orribile ed inquietante, l'opera evoca una sorta di sospensione di un essere vivente tra la morte e la vita, perpetuando l'immagine di quest'ultima con il fermare il naturale processo di decomposizione del corpo che segue la morte. Nulla, sostiene la prof.ssa Silvia Evangelisti, docente e ricercatrice dell’Università di Bologna, rappresenta nell’arte contemporanea la morte meglio di quello squalo, quella tassidermia spettrale che nuota nella formaldeide. Ma questa è anche l’opera che lo fa salire agli onori della cronaca e del mercato dell’arte per la vendita dell’opera, avvenuta nel 2004, ad un prezzo stellare, 8 milioni di sterline o, forse, c’è chi dice, anche 12 milioni di sterline.

Seguono, poi le opere della serie “Natural History”, come “Mother and Child (divided)” del 1993, presentato con grande scandalo e controversi pareri, soprattutto ancora dagli esponenti del movimento Verde e Animalisti, alla Biennale del 1995 e con il quale vince il Turner Prize: una macabra sezione anatomica di una mucca accompagnata dal suo vitellino. O, ancora, “Away From The Flock” (Lontano dal gregge) o “Sheep”, (1994).

La sua indagine dell’immaginario collettivo è tutt’altro che superficiale e sfocia in tematiche molto profonde e raffinate, che riguardano soprattutto la precarietà della vita. Non da meno degli artisti romantici, indaga questo aspetto con dei “memento mori” a misura di contemporaneità.


Un'altra serie di opere che l'artista realizza allo scorcio degli anni '90 è quello delle “Pharmacy”: il tema qui riprende uno dei punti centrali anche nella serie “Natural History”, quello cioè di una società che nasconde i problemi con soluzioni sostanzialmente irrazionali. Così come il tema della morte, anche quello della malattia viene occultato, negato e in qualche modo "risolto" attraverso l'uso di farmaci, proposti come "meraviglie" accattivanti e "buone", nascondendo la vera natura di prodotti chimici che alterano i sensi e la ragione. La società contemporanea non tollera la defaince, la malattia, la vecchiaia, la morte la occulta coprendola di "bellezza" come in “For Heaven's Sake”, del 2008 in cui il teschio tempestato di diamanti è denso di rimandi ai concetti di lusso e morte.


C’è chi ritiene che quella di Damien Hirst non sia arte, ma solo abilità che stimola il fenomeno del desiderio artistico che si tramuta in interesse economico, fino a diventare una gara per accaparrarsi le sue “opere” anche allorché queste prodotte in serie o realizzate dai suoi assistenti, come i famosi “spot painting” di puntini colorati.

Nonostante queste posizioni nel 2012 Damien Hirst ha ricevuto un riconoscimento culturale ufficiale, una mostra alla Tate Modern di Londra, tempio dell’arte contemporanea mondiale, cioè una consacrazione indiscutibile per il mercato dell’arte mondiale. Le critiche però continuano poiché ci sono sempre i detrattori contrari al sistema dell’arte i quali sostengono che in tutta questa vicenda si scorge sempre una perdita di spontaneità in favore di una notorietà istantanea, che fa parte di una strategia di marketing volta a far sì che l’”artistar” produca e guadagni, e con essa mercanti, collezionisti e quant’altri ruotino attorno all’artista e alla sua opera.


Damien Hirst ha continuato negli ultimi anni a far scioccare il pubblico. Nel 2017 le due sedi veneziane della Collezione Pinault – Palazzo Grassi e Punta della Dogana hanno ospitato, in occasione della Biennale, la mostra “Treasures from the Wreck of the Unbelievable”, un lavoro durato 10 anni e realizzato con la collaborazione di circa 100 assistenti che hanno lavorato nella sua “factory”. Con quest’opera, l’artista aveva inscenato il fantomatico ritrovamento di un tesoro in mare che si trovava a bordo dell’Unbelievabile, un’imbarcazione naufragata di un collezionista del II secolo dopo Cristo. Tutto falso e inventato, ma data la produzione realizzata con tanto di effetto invecchiamento sui materiali a causa dell’effetto del mare, studiati a livello chimico e fisico, date le riprese simulate in mare con i sommozzatori a testimonianza del recupero del relitto, e dato infine il racconto storico minuziosamente calato nella realtà dell’epoca per le immagini delle sculture e i loro dettagli, l’impatto iniziale era di credere alla veridicità almeno parziale della storia. Ancora una volta, in modo grandioso e megalomane, Hirst ci stupiva a Venezia e lasciava tutti a bocca aperta.


Quest’anno una di queste sculture, “Praying Monk”, è stata trasportata con un apposito elicottero al centro del lago ghiacciato di St Moritz. L’operazione preannuncia, ci rivela Art Tribune, una nuova grandiosa mostra di Hirst, con l’apertura di “Mental Escapology”, una mostra diffusa orbitante su quattro sedi diverse, curata dal direttore artistico Jason Beard, già suo collaboratore. Tra gli ambienti scelti ci sono il Forum Paracelsus, che ospita gli animali in formaldeide della serie “Natural History” e il dipinto “Surgical Tools for Caesarean”, e la chiesa evangelica del patrono della città, dove sono allestiti i simbolici “Kaleidoscope Paintings”.





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