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Writer's picturePaolo Grandi

Rubrica Awalkin.Art: oltre l’Arte Concettuale e l’Arte Povera, Gino De Dominicis

Updated: May 13, 2021

Oggi vogliamo ricordare Gino De Dominicis. Parlare di questo artista italiano, è estremamente difficile non solo perché difficilmente “collocabile” all’interno dei movimenti artistici degli anni Sessanta/Settanta (concettuale, poverismo, arte comportamentale?), ma anche perché è uno dei rari esempi di artista che ha ricercato la diversità, l’alterità prendendo le distanze da qualsiasi corrente e persino dai media, tanto da rifiutare di farsi fotografare così come di riprodurre le sue opere, se non sotto sua stretta sorveglianza e concessione. E questa è la ragione per cui sono pochissime le immagini reperibili sui suoi lavori. Non per un capriccio, ma per una precisa concezione “ideologica” legata al significato che aveva per lui l’opera d’arte, che era quella e quella soltanto, non la sua riproduzione, la quale non avrebbe più avuto nulla a che fare con l’opera viva, ma ne sarebbe stata solo una testimonianza della sua stessa (dell’opera) morte. E questo De Dominicis non poteva permetterlo, perché il suo lavoro era, al contrario, teso al superamento della morte, all’immortalità.

I tre temi centrali della sua opera sono infatti l’immortalità, la diversità e una concezione del tempo ribaltata, rovesciata rispetto a quella “normale”. Tre temi che nascono da una concezione unica: che ci sia una via per vincere, per superare i limiti che abbiamo sfuggendo alle leggi che regolano i cicli biologici e gravitazionali dell’uomo.

Le opere diventano, dunque, “rappresentazioni” dove tutto avviene hic et nunc - qui e ora -, in uno spazio e in un tempo eternamente presente e dunque immortale. È il caso della tanto sconvolgente installazione che Gino De Dominicis presentò alla Biennale di Venezia del 1972 intitolata “Seconda soluzione di immortalità (l’universo è immobile)”, una sorta di tableau vivant che coinvolgeva un giovane ragazzo down insieme ad altri due giovani che ballavano e altre persone che tenevano una conferenza sotto gli occhi di due persone sedute su sedie appese a 5 metri dal suolo, mentre era diffuso nell’ambiente il suono di un’ossessionante e sadica risata. De Dominicis voleva rimarcare la differenza, attraverso il ragazzo down (simbolo del “diverso” che comprende anche l’artista stesso) tra la sua calma beatitudine lontana dal “caos della vita moderna” e il concetto invece di “normale” legato all’idea della mobilità, dell’efficienza, del caos rappresentata dagli altri interpreti dell’installazione.

Solo con la sospensione della dimensione temporale, l’immortalità è raggiungibile. Ecco allora le “imprese impossibili” messe in atto dall'artista, gli “esperimenti” nei quali l’artista mette alla prova la possibilità che l’impossibile possa accadere: dai tentativi di creare quadrati lanciando sassi nell’acqua (“Tentativo di formare quadrati invece che cerchi attorno a un sasso” del 1969) a quelli di volare (“Tentativo di volo” del 1970) in cui l’artista interviene contro le leggi di gravità,

De Dominicis usa l’artificio, la meraviglia, la magia da prestigiatore come strumenti di testimonianza della possibilità di cambiare le regole date. È stato notato come tutto ciò porti con sé gran parte di una componente utopica, quella che nasce e caratterizza inizialmente proprio la rivoluzione sessantottina che ha avvio in quegli anni.

Il critico d’arte Italo Tomassoni è stato uno dei pochi a recensire le opere di De Dominicis fino all’anno della scomparsa dell’artista avvenuta nel 1998. Nel 1999 Tomassoni ha curato alla 48ª Biennale di Venezia la retrospettiva dedicata a Gino De Dominicis. Nello stesso anno ha fondato l'Archivio Gino De Dominicis. Sentiamo la sua interessante testimonianza sull’artista che ha rilasciato a Rai Cultura: https://www.raicultura.it/arte/articoli/2020/05/Gino-de-Dominicis-prima-parte--22088bc6-16c1-4f7d-8b28-1ab0c3fb4d3e.html?fbclid=IwAR2OcjIegCQl5RACf1kgGFheFhLsK3yPyTgFO6klTF0uQCx7b8-TQ0n_wWg






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