L’artista romano Pino Pascali è un protagonista veramente “eccentrico” nel campo dell’arte contemporanea muovendosi al confine tra il concettuale, il poverismo e la pop art. Come strumento centrale del suo operare, c’è l’impiego dell’aspetto ludico. Scopriamolo insieme.
Pascali da subito si misura con l’immaginario pop nella sua prima personale. A Roma nel 1965, espone una serie di lavori dal titolo Pezzi di donna” sono quadri-oggetto, in cui le tele, montate su centine di legno, assumono la tridimensionalità della scultura. Alla fine dello stesso anno l’analisi si sposta sulla rappresentazione di particolari del corpo femminile: l’ingigantimento e la messa in primo piano di un frammento umano, se risente delle contemporanee sperimentazioni della Pop americana, non è senza legami con le personali esperienze di Pascali nell’ambito della cinematografia e della pubblicità. Si manifesta comunque, già in queste prime opere, quella componente ludica, intrecciata alla ricerca dell’elemento primario, atavico e ancestrale (in questo caso, il mito mediterraneo della donna-grande madre) come nell’oldenburghiano “Primo piano labbra”. Oppure, un mondo fantastico fatto di oggetti realistici ma improbabili, come “Il mare” e “Baco da setola”, installazioni scenografiche che, reinventando la realtà, producono un effetto straniante e fantastico e che si pongono in una linea di ricerca tra la pop, l’arte ambientale e l’arte povera per l’impiego dei materiali “primari” come l’acqua e la terra.
L’immaginario di riferimento di Pascali affonda le radici nelle origini del mondo, nella preistoria, alle origini della storia dell’uomo, riportando alla luce un universo perduto di animali giganti, “Ricostruzione del dinosauro” del 1966, con una forte componente ironica e giocosa, sottolineata dai titoli dei lavori, molto spesso legati a giochi di parole.
Il gioco è componente centrale anche nella serie delle armi antimilitariste (“Cannone Bella Ciao” del 1965) fatte di materiali di recupero (barattoli, lamiere, pezzi di legno) ma verniciate in modo da sembrare vere. Un giocattolo di grandi dimensioni e realizzate assemblando residuati meccanici, tubi idraulici, vecchi carburatori Fiat, rottami, manopole. Un “gioco” usato in chiave ironica dall’artista per parlare dell’assurdità della guerra, in un modo tale però da ri-creare quell’inquietudine, quel clima di minaccia, dettato dal fatto stesso di trovarsi davanti ad un cannone o ad una mitragliatrice puntati su di sé: lo choc che l’artista crea diviene la forza dell’arte. Creazioni, dunque, che divengono sintesi di quell’equilibrio natura e cultura che l’uomo contemporaneo cerca di recuperare, senza ostentare il rapporto con il materiale come nell’arte povera, ma recuperando tuttavia la solidità formale della materia.
Immagini tratte dal sito della Fondazione Pino Pascali a solo scopo divulgativo e non commerciale.
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