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Immagine del redattorePaolo Grandi

GIULIO II E RAFFAELLO: UNA NUOVA STAGIONE DEL RINASCIMENTO A BOLOGNA

L’11 novembre del 1506 Giulio II dopo essersi messo alla testa del suo esercito di mercenari e aver marciato con 2000 fanti e 500 cavalieri alla volta di Perugia, arriva alla sua meta principale: Bologna, la città più importante dello Stato pontificio dopo Roma. Bologna è retta da decenni, come un feudo personale, dalla famiglia Bentivoglio. Il papa usa, oltre all’arma militare, anche quella spirituale scomunicando il tiranno bolognese e paralizzando la vita religiosa oltre che quella politica della città, essendo l’unico in quanto pontefice a potere padroneggiare quest’arma. Bologna e il suo tiranno cedono all’assedio delle truppe papali. L’ingresso è volutamente scenografico, richiamando quello degli antichi imperatori romani o, prima di essi, di Giulio Cesare stesso: il papa guerriero è trasportato su un carro trainato da cavalli bianchi, vengono costruiti degli archi trionfali celebranti la sua impresa gloriosa, vengono gettate al popolo delle monete e inneggiati versi alla gloria cavalleresca del papa.

Questo evento cambia bruscamente la storia dell’arte bolognese che pure aveva avuto per tutto il Quattrocento suoi interessanti sviluppi, anche grazie al contributo degli stessi tiranni – mecenati come la famiglia Bentivoglio e le famiglie loro rivali come i Malvezzi o i Marescotti. Gli artisti avevano dato vita ad un linguaggio autoctono locale mitigato da influenze della vicina città di Ferrara. Così, accanto a Francesco Francia e Amico Aspertini lavorarono Lorenzo Costa, Ercole de’ Roberti. Nel Quattrocento avevano contribuito anche artisti outsider a Bologna come Jacopo della Quercia e Niccolò dell’Arca. Con l’arrivo del papa a Bologna, le commissioni artistiche continuano e si ampliano ancor più come strumento politico e di affermazione. Alcuni capolavori come il magnifico Palazzo Bentivoglio di Giovanni II viene distrutto dalle insurrezioni popolari aizzate dal papa e dai francesi. Giulio II però si impegna a creare un nuovo ambiente artistico in cui le esperienze locali vengono presto a confrontarsi con quelle romane: Michelangelo e Bramante sono chiamati in città e lavorano su ambiti urbanistici e decorativi. Purtroppo, poco rimane dei due grandi artisti, pure la statua di Giulio II di Michelangelo che campeggiava sulla facciata del palazzo comunale viene distrutta. Le insurrezioni locali non erano sedate. La situazione politica era instabile tant’è che ci fu anche un breve ed effimero ritorno nel 1511 alla signoria dei Bentivoglio. Con Giulio la lingua artistica si unifica poi sotto il terzo grande protagonista del Rinascimento: Raffaello, uno dei campioni di Giulio II, dopo l’esperienza d’eccellenza con cui l’aveva messo alla prova con le Stanze Vaticane in quegli anni e la carica di Ispettore dei Beni Culturali a Roma. Con Raffaello si assiste ad un vero cambio di passo.

In occasione del progetto di scambio tra la Pinacoteca bolognese e la National Gallery che prevedeva il prestito dell’Estasi di Santa Cecilia a Londra e il conseguente prestito del ritratto di Giulio II a Bologna, ecco che si è ripensata a livello progettuale l’ala del museo dedicata al Rinascimento. Ala che terminava con l’opera bolognese di Raffaello (Santa Cecilia) di fronte alla pala del Perugino. Ora, l’arrivo temporaneo del ritratto ha richiesto un ripensamento del museo anche in chiave di immagine coordinata e dialogo fra le opere. Di fronte all’Estasi di Santa Cecilia, realizzata da Raffaello per una committenza bolognese nobiliare negli anni tra il 1513 e il 1515, si trova il celebre ritratto londinese realizzato tra il 1511 e il 1512, raffigurante papa Giulio II, in origine Giuliano della Rovere, in un modo nuovo. Con questa opera Raffaello introduce un nuovo canone per la ritrattistica: il papa è al centro della tela non come una asettica figura ieratica, ma come un uomo reale, dotato di una sua psicologia e una sua dimensione più intima. Qui è un vecchietto meditativo non più il condottiero, il papa molto odiato e controverso. È un’immagine straordinaria, più intima e ravvicinata, in una dimensione privata non in una cerimonia pubblica in cui il papa non è più il guerriero ma il pacificatore. In una veste più spirituale che temporale, dove tuttavia i particolari della seta plissettata e degli anelli preziosissimi tradiscono un passato di gloria. Un’apparente serenità, dunque, di un uomo anziano che dissimula tuttavia l’aggressività e il potere di un tempo. Quando venne esposto nel 1513 dopo pochi mesi dalla morte del papa ci fu affluenza di pubblico altissima presso la Chiesa di Santa Maria del Popolo a Roma dove l’opera era stata collocata.

Il nuovo itinerario di visita alla Pinacoteca di Bologna approfondisce il percorso artistico relativo all’arte rinascimentale bolognese dall’epoca dei Bentivoglio sino all’incoronazione di Carlo V. Tra le opere emblematiche di questo momento l’Estasi di Santa Cecilia di Raffaello, realizzata durante il papato di Leone X, che influenzò l’arte presente e quella a venire. A contrasto rispetto al raffaellismo, Amico Aspertini, pittore fedele al proprio linguaggio assolutamente personale e anticlassico, come testimonia in mostra il Cristo benedicente tra la Madonna e San Giuseppe, che qui giunge grazie al prestito della Fondazione Longhi di Firenze. Poi, ci sono gli anni travagliati che portano al Sacco di Roma nel 1527 che conducono a Bologna un’altra personalità di spicco: il Parmigianino presente in città tra il 1527 e il 1530. La sua arte raffinata ed inquieta è documentata in mostra dal confronto tra la Santa Margherita della Pinacoteca e la Madonna di San Zaccaria, che giunge dagli Uffizi. Con queste opere si arriva alle soglie di un nuovo momento centrale per Bologna, quello dell’incoronazione di Carlo V da parte di Clemente VIII, cui è riservata la conclusione dell’esposizione.


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